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Il reato di maltrattamenti in famiglia può integrarsi anche dopo la separazione?

l reato di maltrattamenti in famiglia è senza dubbio tra i reati più gravi previsti dal nostro ordinamento e, come tale, punito molto severamente (con la reclusione da tre a sette anni, pena che può arrivare fino al tetto massimo di ventiquattro anni in caso di morte della vittima).

Si tratta di un delitto ancora molto attuale e diffuso e che continua a mietere numerose vittime nel nostro Paese, per tale ragione rientra nella categoria dei “reati spia” previsti dalla legge n. 69/2019 sul “Codice Rosso”, per i quali è prevista una corsia preferenziale di trattazione per i procedimenti penali collegati a quest’ambito.

Quando si configurano i maltrattamenti in famiglia?

Per la legge è punito chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, oppure ancora per l’esercizio di una professione o di un’arte. Rientrano in quest’ambito, dunque, non solo i nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma qualunque relazione che implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o di una convivenza abituale, come nel caso di una relazione sentimentale in cui vi sia stata un’assidua frequentazione dell’abitazione della vittima.

Quanto alla condotta, questa si manifesta attraverso una serie di atti di prevaricazione, vessazione, violenza e abusi fisici e/o psicologici della più svariata natura tali da provocare, nella vittima, una sofferenza fisica o morale apprezzabile.

Non solo le violenze fisiche quindi, ma anche atteggiamenti di disprezzo, umiliazioni, ingiurie, privazioni economiche, se ripetuti nel tempo, sono idonei a configurare il reato; è importante in ogni caso precisare che si tratta di un reato necessariamente abituale e, come tale, si caratterizza per la sussistenza di una serie di atti che, isolatamente considerati potrebbero anche non essere punibili (ad esempio atti di infedeltà o di umiliazione generica), acquistando rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo. Esempio pratico: il genitore che maltratta il figlio mediante percosse in preda ad un unico ed occasione stato d’ira, potrà essere processato per lesioni o percosse ma non per maltrattamenti!

Ai fini della sussistenza del reato, non occorre comunque che il comportamento vessatorio sia continuo ed ininterrotto, essendo ben possibile che i maltrattamenti si alternino con periodi di apparente normalità nei rapporti familiari o di convivenza, purchè non venga provata una mera occasionalità degli atti di maltrattamento che farebbe escludere la sussistenza del reato in questione.

L’infedeltà ostentata può integrare il reato?

Come già anticipato, può parlarsi di maltrattamenti contro familiari e/o conviventi non soltanto in caso di avvenute percosse, minacce, lesioni, ingiurie, privazioni e umiliazioni ma anche qualora si realizzino atti di diprezzo e offesa alla dignità tali da provocare vere e proprie sofferenze morali nella vittima, come nel caso dell’infedeltà ostentata. Non sono infatti mancate condanne nei confronti di chi ha intrattenuto rapporti con l’amante all’interno della casa coniugale, imponendo al coniuge l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce, o di chi ha costretto a sopportare la presenza in casa di un altro partner, oppure ancora verso chi ha ostentato la propria infedeltà vantandosi dei tradimenti realizzati.

…e la tolleranza della vittima esclude il reato?

La risposta è: no.

Per la legge è del tutto irrilevante, ai fini della sussistenza del reato in questione, che chi subisce i maltrattamenti abbia una maggiore o minore capacità di resistenza, poiché ciò non esclude assolutamente che la condotta illecita sia comunque idonea, già di per sé, a determinare lo stato di sofferenza della vittima, indipendentemente dal variabile grado di reazione e di sopportazione da parte della persona offesa. Esempio: risponde del reato di maltrattamenti in famiglia il genitore che assuma nei confronti del figlio minore un atteggiamento iperprotettivo, tale da incidere sullo sviluppo psicofisico dello stesso, a prescindere dal fatto che il minore abbia o meno percezione di tali comportamenti (esclusione del minore da attività didattiche inerenti alla motricità, privazioni di rapporti sociali con i coetanei, ecc..).

Cosa succede se i maltrattamenti avvengono dopo la separazione?

È cosa assai risaputa che la violenza domestica tra i coniugi, fondata prettamente su motivi di genere, sia una forma di violenza che spesso continua a persistere ed aggravarsi proprio con la scelta della vittima di avviare il procedimento di separazione.

Inoltre, nella condivisione di un rapporto genitoriale, sono proprio i figli a costituire per il maltrattante l’occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni dell’altro genitore per cui, quando le azioni vessatorie sorte in ambito familiare (o a questo assimilabile) proseguano anche dopo la sopravvenuta cessazione del vincolo, può configurarsi in ogni caso il delitto di maltrattamenti in famiglia. Recentissima, al tal proposito, una sentenza della Corte d’Appello di Lecce (la n. 405/2024) che, conformandosi ad altre pronunce passate ha sottolineato che la separazione è condizione che incide soltanto sull’assetto concreto delle condizioni di vita, ma non sullo status di coniuge, facendo persistere dunque gli obblighi di assistenza morale e materiale e del reciproco rispetto.

Per info, domande e chiarimenti: e-mail info@federicacandelise.it – sito web www.federicacandelise.it

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